Dopotutto e prima di tutto ciò

Questi sono giorni strani. Sto lentamente riprendendo possesso della mia identità e delle mie azioni, oltre che della mia pura essenza. Rimettere in ordine la stanza, la musica, i pensieri. Appianare i casini. Superare gli ostacoli. In parte sono ancora parole, idee. La volontà è ancora debole, l'istinto prevale.
Ogni tanto, però, riesco ad aggiungere un tassello a White Darkness, e mi rendo conto che forse ogni pensiero lo è. Come l'immagine di una ragazza dal cuore spezzato che si fa consolare in fronte al fiume da un amico conosciuto da poco.

Immaginatevi cosa succederebbe. Un fazzoletto, un abbraccio, il tramonto.
Ogni singolo dettaglio. Il rumore dell'acqua, il vento che agita l'erba, la trama della stoffa del vestito. Il colore delle cose, sempre che riusciamo a vederlo.

Il colore delle cose. 

È una cosa che mi ha sempre lasciata interdetta, la percezione del mondo. La profonda soggettività intrinseca della nostra esistenza. Nessuno può veramente capire un altro essere se non si rende conto della banale verità per cui ognuno vede con i propri occhi, con le proprie esperienze. È un dato, un fatto, che il guardare un oggetto scatena nella testa una reazione di ricerca di oggetti simili. Come se stessimo googlando in testa un'immagine. La reazione che ne deriva è dunque conseguenza di ciò che abbiamo visto o sentito. Il mondo è bello perché è vario, direbbe qualcuno. Forse invece siamo tutti uguali, ma cambiano gli occhi di chi vede. E quindi, stessi occhi vedono le stesse cose? È fondamentale la componente del DNA in tutto ciò? Forse, ma sono le esperienze che cambiano tutto. I sentimenti. Le emozioni.
Ora non sono pronta a provarne altre, ho paura di fidarmi. La solitudine mi rende solitaria, sempre di più. L'uscire mi rende festaiola, ma quando torno a casa, sono sola. Solo gli amici, lontani, mi sono vicini. La schiena continua a dolere, come se volesse ribellarsi a questi giorni.

Il sapore delle cose.

Mi sono chiesta, fin da piccola, perché a qualcuno piacessero certi cibi e altri no. Avranno pur ben lo stesso gusto. Stesso cibo, stessa chimica, stesso risultato. E se non fosse così? Se fosse la nostra chimica a cambiare, la nostra fisicità, la nostra pura essenza che varia la percezione del gusto? Eppure l'apparato gustativo funziona alla stessa maniera per tutti. Eppure ci sono cibi che piacciono alla stragrande maggioranza della gente. Eppure ci sono cose che all'inizio le odi ma poi non puoi più farne a meno. Quesiti stupidi, domande senza risposta. Bisognerebbe essere qualcun'altro.

Il profumo delle cose.

Gli odori sono la forma più ancestrale e profonda di associazione ai fatti. Più della musica. Certi profumi possono riportarti indietro nel tempo più di ogni altra cosa, più del ricordo stesso. I profumi non sono facili da ricordare come le immagini, perché non hanno una forma concreta, ma si modellano sui ricordi come una maschera dorata, congelandoli in un alone di eternità che li conserva, intatti, perfetti, precisi. 

Mi ritrovo ancora nel cortile dell'università. È luglio, ma fa freddo. Il cielo è coperto, mi ci rifletto. Vedo una persona triste e stanca, dalla corazza dura, non troppo diversa da quella che vedevo il primo anno di università quando ascoltavo con timore No Surprises e There There. Una persona continuamente sconfitta. Mi hanno detto che sono determinata, e vorrei crederci. La forza che ho dimostrato negli anni mi darebbe ragione ma come ogni volta, sono io il mio vero nemico. Là fuori non mi interessa chi potrà fermarmi ma qui, nella mia testa, dove nessuno può entrare, e nel mio cuore, tenuto in mano come solo un Ood sa fare, qui si scatena un'eterna lotta tra il mio essere e ciò che appare, tra la mia essenza e il mio sangue, tra ciò che vorrei e ciò che posso, tra il mio passato e il mio futuro.

Ah, il mio passato. Sono cambiate moltissimo le cose.

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