Meno uno, due, nove, undici, ventuno, trentaquattro

[-1]

Le mie illusioni sono state le mie compagne per molto tempo. Mi ero ripromessa di smettere ad un certo punto, come fosse una dipendenza, ma la verità è che non ho potuto lasciarle. Da quelle più folli e ingannevoli, usate come moneta di scambio per cercare di arrivare dove non potevo, a quelle più concrete, basate sui fatti, sulla razionalità, sui dati e sulle probabilità. E per assurdo non sono state quelle illusioni a trascinarmi giù, quelle senza senso e completamente folli, anche se non mi hanno fermata. Come avrebbero potuto, se neanche la mia stessa voce ero in grado di ascoltare.

Ho perso una parte di me. Ero forte, ero decisa e determinata, ho avuto la forza di cambiare chi ero per seguire un'illusione. Per quanto fosse una di quelle sensate, alla fine è stata la peggiore di tutte. Mi sono trascinata in un posto oscuro nella mia mente, senza più quella corazza dura che avevo speso tre anni a costruire. Ero talmente forte che non era più una corazza, era la mia stessa pelle ad essere diventata corazza, inscindibile ed indistruttibile.

Eppur l'ho tolta. Ed è stato l'inizio del declino.

Non fraintendetemi, l'errore non è stato essere vulnerabili, ci mancherebbe. Se continuassimo ad indossare la nostra corazza giorno dopo giorno, fondendola con la nostra stessa pelle, senza poter mai toglierla, saremmo completamente isolati dal mondo, e non credo che siamo esseri nati per stare da soli. Non importa se sia amore o amicizia, anche se poco abbiamo bisogno della vicinanza umana. La mia è solo una teoria, e sono sicura che al mondo ci sia ben più di una persona pronta a smentirla, e va benissimo così, è giusto così.

In ogni caso, io ho fatto la scelta di toglierla per diventare qualcun'altra. Quello è stato il mio errore. Non avrei mai pensato che sarebbe diventato uno dei miei peggiori sbagli. Non mi sarei mai ascoltata, neanche se ora potessi andare indietro per cercare di impedire tutto. 

E qui sorge la domanda. Lo farei veramente, tornare indietro ed impedire tutto ciò? 

[2]

Fino a qualche tempo fa, data la garanzia di arrivare dove sono ora, ma essendo la persona che ero prima, l'avrei fatto in un batter d'occhio. Eliminare il dolore. Oh, se l'avrei fatto. Non ci avrei pensato due volte. Mi garantisci la situazione in cui sono ora ma mi dai la possibilità di essere una persona più stabile? E ci dovrei anche pensare? Fammi andare a menare quella cretina di me stessa a ventidue anni, che forte forte ma non capisce un cazzo. 

Ma da qualche tempo ho cambiato prospettiva.

[9]

Ho sempre visualizzato quel periodo nel mio posto oscuro come una fossa nera, un buco profondo in cui non arriva la luce, vagamente simile alla caverna dell'omonimo mito dell'allegoria di Platone (qui tocchiamo vette altissime di cultura, occhio), a cui in realtà ho pensato solo ora. Con la differenza che io sapevo perfettamente cosa c'era fuori dalla caverna e che mi ero incatenata da sola. Ma io ero in un buco, non in una caverna, e fuori non riuscivo più a guardare. Ero rannicchiata in posizione fetale, non incatenata davanti ad un fuoco. Io il fuoco non ce l'avevo. C'era veramente poca luce che entrava e le ombre erano spaventose. Ero ferma. Ero in pausa. Sono stata in attesa che qualcun'altro prendesse delle decisioni per poter decidere cosa fare di me stessa. Devo averlo definito limbo ad un certo punto, credo. Non ne sono certa, ma di sicuro sarebbe stato un paragone adatto. Sono sicura di aver detto di essere ferma, in pausa. E ci vuole molta energia per mettere in moto un corpo fermo, a differenza di un corpo in movimento, a cui basta applicare una forza inferiore per farlo continuare ad andare avanti. Ecco, io ero ferma, e non avevo assolutamente la forza di ripartire. Le mie giornate erano letto, divano, pranzo, lavare i piatti, divano, cena, lavare i piatti, divano, letto, sonno senza sogni. Il tutto condito da lacrime, finché ne ho avute da piangere. Io e quella voce nella mia testa che mi ripeteva costantemente che non sarei mai stata in grado di fare nulla nella vita, perché guarda, hai dato tutta te stessa e hai fallito, come credi di poter combinare qualcosa d'altro quando hai dato tutto e hai fallito? Vuoi davvero rifarlo? Tanto fallisci lo stesso. Sei tu l'inutile. Hai sempre fallito, se sei arrivata qui. Non vali nulla. Sei sola. Sei stupida, e hai fallito di nuovo come la stupida che sei. E care grazie che sai fare quello, perché pensavo che fallissi pure a sbagliare. Hai dato tutto, e hai perso tutto. Te lo meriti. Non riuscirai mai a fare nulla. Hai dato tutto e cos'hai ottenuto in cambio? Nulla, ed è ciò che ti meriti. Costantemente, ogni giorno, una voce nella mia testa che mi ricordava i miei fallimenti, che non sono mai stata in grado di accettare, perché per me i fallimenti sono una cosa enorme, che in casa mia sono sempre stati ingigantiti, e che io non ho mai saputo affrontare.

Era il 2014, ogni giorno era un incubo e a ripensarci sto ancora male.

Ricordo che in un momento di lucidità ho avuto un pensiero, espresso, se non ricordo male, ad alta voce a me stessa, probabilmente di notte, ma poteva anche essere di giorno per quanto valevano i giorni all'epoca. Stavo piangendo, ed era uno di quei pianti disperati e dolorosi, nel senso che mi sentivo senza speranza di uscirne, e ricordo il male che faceva quella sensazione orribile, e poi ho detto questa cosa. L'ho detta a me stessa, a voce alta solamente perché faceva troppo male a stare solo dentro la mia testa. Il pensiero è stato "spero tanto che nessuno, mai, al mondo, mai possa provare il dolore che sto provando io", e lo pensavo veramente. Con tutto il cuore. Lo penso tutt'ora. E mi rendo conto che è folle, siamo talmente tanti a questo mondo che credere di essere l'unica è veramente da pazzi. L'ho sempre saputo che sicuramente c'era qualcun'altro al mondo che ha provato/stava provando/avrebbe provato/scegli un'altra coniugazione del verbo provare il male che stavo provando io, perché era quasi un male fisico. Mentre lo dicevo me ne rendevo conto, perché ok folle nelle mie illusioni ed in fondo ad un pozzo buio ma quello era un momento lucido. Ed era veramente lucido. Ho per un momento accettato il mio dolore, mi sono immersa in quel male e ho respirato. È stato solo un momento, è poi passato e l'ho dimenticato.

Mi è tornato in mente di recente.

Ne sono uscita, lentamente e faticosamente, ho lasciato indietro tutto ciò che mi aveva trascinata sul fondo, qualcosa si è anche autoeliminato, e mi sono appoggiata alle persone che nella maniera più altruista mi hanno aiutata nel momento del buio più buio. Piano piano ho ricominciato la mia scalata, accompagnata da Origin Of Symmetry dei Muse perché manco a dirlo, loro con la loro musica ci sono sempre stati, anche se ricordo quel periodo come particolarmente silenzioso, stranamente privo di musica, e la cosa è assolutamente ironica ed assurda, viste le uscite dell'anno e del periodo. Ma non si può cambiare il passato. In ogni caso, sono lentamente uscita dal mio buco nero e adesso sono lì fuori. 

Mi sono sempre vista in piedi, scalza, fuori da questo buco nel terreno arido, ha senso che intorno a questa fossa non ci sia troppa vita. Sono in piedi, sul bordo, con le spalle rivolte a sto pozzo nero, con una mano che esce dal buco e mi tiene una caviglia. Le spalle perché non mi sono mai guardata indietro, in quel buco ci sono troppe cose che mi spaventano, troppe cattive abitudini in cui ho paura di ricadere, che voglio dimenticare, troppo male che è ancora lì che mi aspetta, che gli manco, che vuole consumare ancora di più di me. Ed è per quello che ha una mano alla mia caviglia, perché cerca sempre di tirarmi giù, e io non riesco a scrollarla di dosso. Chissà poi di chi è quella mano, probabilmente è mia, o di una versione di me particolarmente propensa all'autodistruzione. In ogni caso, la sua presa non è sempre uguale. Questa mano ogni tanto tira di più, stringe un po' di più, le unghie nella pelle, e io mi ritrovo con un piede nella fossa, una gamba un po' piegata, ma ancora stabile. Per fortuna tanti anni passati a giocare a pallavolo mi hanno lasciato un buon equilibrio, anche se delle articolazioni di merda. Ci sono delle volte in cui tira e stringe ancora di più, e io mi ritrovo, con tutta la gamba nella fossa, accovacciata sul bordo, o ancora peggio una volta mi ha tirato dentro fino alle spalle, aggrappata solo per le mani. Quella volta ne sono uscita per poco, non so ancora come ma da un giorno all'altro mi sono tirata su. Lì credo ci fosse una mano in più a tirare, quando sono riuscita a far staccare quest'altra mano è stato più semplice. I colleghi avevano aiutato tanto in quel caso eh, lode a loro che mi hanno sopportata in quel terribile scorso dicembre. 

[11, 21]

Comunque, il buco nero cerca ancora di tirarmi dentro, ogni tanto di più, ogni tanto di meno, e ogni tanto, devo essere onesta, gli do una mano pure io, perché le cazzate non ho mai smesso di farle. Da una illusa vi aspettavate mica che non facesse cazzate, dai. E ho sempre lottato con questa fossa nera, convinta che la mossa migliore fosse allontanarsi, andare dove c'è l'erba, o almeno andarla a cercare, perché l'obiettivo finale era tornare ad essere quella che ero. È un ragionamento che ha senso, ho sempre pensato. Essere di nuovo quella persona che ha fatto tre anni a Venezia, che ha amato e lasciato andare, che senza pensarci è andata a due concerti, uno nel 2009 a Torino con poche ore di sonno sulle spalle - e che meravigliosa giornata - e uno nel 2011, al Reading Festival, sempre con mia sorella di transenna, dove abbiamo fatto tante ore di attesa, visto tanti gruppi, mi sono follemente innamorata degli Elbow, abbiamo odiato un pochino gli Enter Shikari e la loro idea di battere il record di crowdsurfing, conosciuto gente con cui ci si sente ancora oggi, per poi, al momento più importante, chiedere disperatamente di farsi tirare fuori dopo un paio di canzoni per evitare di farsi veramente male, e finire appollaiata sulla spalla di un ragazzo australiano (mi pare, o forse era neozelandese? Da quelle parti comunque. L'avevo anche contattato su facebook, ma non lo riesco più a trovare, peccato) che deve aver pensato che fossi una pazza. Zoppicante, con la parrucca, fuori di testa e furibonda, e che prevedevo le canzoni prima che venissero suonate, solo da come si preparavano. Rimane il fatto che non puoi dirmi che sono pazza perché decido di andare a Reading dall'Italia per vedere i Muse quando tu vieni letteralmente dall'altra parte del mondo e siamo a vedere la stessa gente che suona. Dai, non diciamo cazzate. Chissà che fine ha fatto sto ragazzo e i suoi amici. Ma mi sto perdendo. Anzi, no, perché la verità è che la transenna è l'unico posto in cui sono ancora un pochino quella persona che ero prima. 

Che bella la transenna. 

La transenna è un posto sicuro. Se hai un problema, un addetto alla security è lì apposta per aiutarti. Sei in uno stadio? Ti danno anche l'acqua. Certo, non devi essere schizzinoso, ma dopo un 9/10 ore di coda non guardi più a ste cose. La transenna è quel posto dove sto bene. Anche se ho sempre la mia parrucca quando vado a vedere i Muse (è d'obbligo, ormai non posso evitarla, è parte di quella me della transenna. Che figata rendersi ridicoli ed essere apprezzati, che figata stare in mezzo ai matti come te, che figata i fan dei Muse della mia età. Vi voglio tanto bene), la transenna è un posto in cui non posso mettere una maschera e far finta di essere una persona diversa. La transenna è un posto felice. Puoi far finta di essere chiunque tu voglia, perché da sola o con amici sarai sempre circondata da gente che non conosci. Loro li puoi illudere, ma la verità è che quando la musica inizia, la transenna non può che renderti onesto, trasparente, e qualunque persona stessi facendo finta di essere, qualunque illusione ti fossi creata intorno, si sgretola, e rimani solo tu. Ho pianto, riso, pianto malissimo, riso tantissimo, cantato canzoni che sono parte di me, cantato canzoni che non avevo mai sentito prima in vita mia, mi sono preoccupata, anche parecchio, ho visto cose che dovevano essere solo sul palco, ma ero talmente vicina che le ho viste, ed ogni singola cosa è stata fucking amazing. La cosa più importante è sempre solo rendersi conto di cosa succede e goderselo, senza pensare al video fatto bene o alle foto a fuoco, che intanto non son capace. Quei tre ragazzi con la loro musica mi hanno accompagnata per un sacco di anni, e sono la colonna sonora della mia vita. Su quelle canzoni posso raccontare la mia storia. In un certo senso, la loro musica è come fosse una casa, una famiglia da cui posso sempre tornare, che non giudica, ma mi dice che alla fine ce la farò anche stavolta.

[-1, 2]

Ma come ho detto prima, da qualche tempo ho cambiato prospettiva.

È stata sempre la musica a farmi cambiare prospettiva. Sto cercando di non illudermi nuovamente, ma le abitudini sono dure a morire, anche se sapendo che forse mi sto illudendo potrei anche negare un fatto. Oppure no, sono veramente illusa, non lo so, e non so se importa. Perché la musica quando arriva al pubblico è del pubblico, ed è fatto suo cosa decide di farne e di tirarne fuori, mi sembra che fosse una cosa del genere. In ogni caso, illusa o non illusa, verità o follia, sto girando la mia prospettiva di 180° e sto guardando dentro il mio buco nero. Non lo voglio affrontare o sfidare però. Sto cercando di vedere cos'è rimasto dentro. Se c'è ancora qualcosa di buono, se ci fosse, non sono sicura di rivolerlo. La mia corazza, ad esempio. Mentre stavo scendendo nel mio buco nero mi è stato detto che dovevo essere più forte, che in quel momento ero come un gattino e che avrei dovuto tirare fuori le unghie. Come se essere un gattino fosse una cosa brutta. Cosa c'è di male a non essere così duri e cattivi, ho pensato. I gattini non sono una brutta cosa. Sono una cosa bellissima. Capisco cosa intendeva, se sei troppo soffice e vulnerabile la gente se ne approfitta. Il problema è che io non ce l'ho più quella corazza, e anche se non sono un gattino...

Qui faccio fatica a trovare delle parole. Ho scoperto che c'è chi ha espresso il concetto che voglio spiegare meglio di me, o meglio, mi verrebbe da usare le parole di qualcun'altro per raccontare una cosa molto personale e non sarebbe giusto, anche se la musica ormai è del pubblico ed è di pubblico dominio. In ogni caso cercherò di usare le mie parole.

Per certe cose sì, ho la corazza. No, non è vero, la corazza non ce l'ho. Non credo di volerla più, preferisco circondarmi di persone da cui non serve essere protetti. Però sto cercando di imparare a non farmi buttare giù da cose o persone di cui non mi interessa l'opinione, soprattutto se io sono sicura di ciò che sto dicendo o facendo. Per quello non serve la corazza, solamente (mezza cit non voluta ma non posso evitarla qui) una scrollata e una breve spolverata delle spalle. Dormirò lo stesso anche se la tua opinione di me è bassa. Pazienza. A me non interessa che la tua opinione su di me sia buona, quindi tieniti la tua opinione, non offenderti della mia però. Per la prima volta da dieci anni a questa parte, quando è iniziata la mia discesa verso la fossa nera, sto accettando questa oscurità che è lì e che non se ne andrà. È lì, ribolle, tanto vale farne qualcosa. E lo so che la musica non è per me, lo so che non c'entro nulla e non c'entrerò mai nulla, ma quella musica mi sta facendo capire che mi devo accettare come sono, che non devo per forza tornare ad essere quella che ero, che essere vulnerabili è essere forti, ma in un modo diverso. Che sono un po' meno sola, anche se a scriverlo piango. Piango perché, ancora, spero di essere solo una stupida illusa, pregavo veramente di essere la sola ad avere quella fossa attaccata alla gamba, e una cosa è sapere che c'è qualcun'altro al mondo in generale che sta messo male come te, una cosa è ascoltare della musica e vedere che sembra che stia uscendo dal buco nero, risuona con quell'oscurità e la agita, pur tenendola a bada. Mi auguro tanto di sbagliarmi e di essere sola con quel buco attaccato alla gamba, perché nessuno se lo merita, e non importa il motivo per cui ci si finisce dentro, quel buco è nero per tutti, anche se diverso. Ma sempre buco nero è, ed è sempre difficile uscirne, ed è sempre lì che aspetta. E quella musica che un po' mi fa stare male, un po' mi guarisce, un po' mi fa ridere, un po' mi fa piangere, di quella non riesco a farne a meno, perché la cercavo, anche quella, da tanto, un po' come quando ho trovato i Muse, ma con loro è diverso, loro ormai sono una costante. Questa musica è una cazzo di retta messa di traverso su un piano cartesiano, che scombussola tutto ed allo stesso tempo mette in ordine, è una palata in faccia, un pugno allo stomaco, mi affonda in quel buco nero e me ne tira fuori del tutto, è stato amore a prima vista, quello che può nascere solo dalla transenna, un affetto profondo e disinteressato, molto intimo e personale, puro e trasparente, per una musica e per quell'entità che esiste solo sul palco che è un gruppo dal vivo, anche se, ancora, spero tanto di sbagliarmi. 

[34]

Ed eccomi qui signor giudice, a decidere di scrivere sul mio blog aperto in quel di Venezia per scrivere racconti e che poi è andato un po' tutto in vacca, a dire al mondo (più o meno, diciamo a te che stai leggendo, se sei arrivat* fin qui) che sto cercando di accettare chi sono diventata, non tanto perché il mondo lo sappia, ma perché ho bisogno io di dirlo, un po' così con il cuore in mano, e non bastava scriverlo nel mio diario segreto delle mie cose segrete, perché non deve essere una cosa segreta, deve essere pubblica, deve restare per me. Nel senso che nel momento in cui io pubblico questa cosa, vorrei tanto che arrivasse alle persone che hanno bisogno di sentirsi meno sole nel loro buio, per far sapere che da quella fossa può uscire qualcosa di meraviglioso, anche se per ora io ci ho solo tirato fuori questo post e sto un po' meglio con me stessa. Però c'è chi ci ha tirato fuori delle cose di una bellezza fuori dal normale, basti pensare a Van Gogh. In ogni caso, sto cercando di trattarmi meglio, di fermarmi un attimo e ascoltare i consigli che mi darei se fossi nella posizione di darmi consigli, di guardare alle cose belle che ho e apprezzarle, ma guardare anche al mio buco nero ed accettarlo per quello che è, seduta sul bordo come fossi in piscina, anche se non so nuotare devo imparare a stare a galla in quella pozza (eccallà), perché se ci dovessi finire dentro di nuovo devo poterne uscire, o potrei non salvarmi più. Penso di doverlo fare da sola, anche se, e qui non posso che dar ragione alla musica, non c'è niente di male nel chiedere aiuto. L'ho già fatto l'altra sera, stavo andando in crisi per una stupidata e l'ho visto che stavo un po' affondando nel mio buco nero. Mi sono fermata, l'ho guardato in tutta la sua oscurità, ho detto fatti forza, e poi mi sono detta no, non "farti forza", però respira, capisci che non è niente di irrisolvibile, chiedi aiuto, e andrà tutto bene (ma è impossibile senza fare citazioni). Non dobbiamo essere tutti forti. Le cose fragili sono belle, e sono anche delicate, ma si possono tenere insieme. 

Sarò un disastro, o forse starò meglio. Di sicuro da quando ho iniziato ad accettare il mio buio sono più leggera, ed allo stesso tempo è un po' più difficile convivere con me stessa, ma è giusto così, perché ho soppresso me stessa per tanto tempo e non so se quella me stessa che ho cercato di nascondere era nella fossa e ora la sto tirando fuori, o se quella me stessa è la fossa stessa, e la sto accettando, di sicuro non sto cercando di bonificarla o di dimenticarla. So che quando incontrerò di nuovo quella musica vorrei tanto avere la possibilità di ringraziarla, anche se non è per me, anche se non cambia nulla, cambia per me, tutta quella musica che mi ha accompagnata da quando avevo 13 anni. Mi ha resa ciò che sono, mi ha sostenuta quando sentivo di non avere nessuno, mi ha dato la forza quando pensavo di non averla, mi ha dato il coraggio che non credevo di avere. 

 

Credo che questo post abbia bisogno di una conclusione. Non penso di voler ambire a molto con questo post, ma solo di mettere nero su bianco (o bianco su nero) una mia riflessione e parte di ciò che sono e di chi sto diventando, e spero che raggiunga chi ne ha bisogno, anche se spero che nessuno ne abbia bisogno, ma questa è solo un'altra illusione.

Potrebbe anche non avere bisogno di una conclusione. Per ora va bene così. Tenetevi sto sguardo su un pezzo del mio centimetro che nessuno mi può togliere (cit. V for Vendetta) e rimaniamo in attesa della prossima transenna.

Rimanendo a disposizione per eventuali chiarimenti, porgiamo cordiali saluti. 

 

 

Edit: a distanza di ore mi sono resa conto che ho fatto numerose citazioni non volute. Ho pensato di toglierle, ma rileggendo il post mi sono resa conto che sarebbe da riscrivere completamente, e questa ricerca costante della non citazione influirebbe pesantemente sulla narrazione, se si può chiamare tale, e non è una cosa che sarebbe giusto fare nei confronti della riflessione molto intima che ho raccontato. Le citazioni non sono ricercate, sono una mera casualità e i post del 2014 lo dimostrano, ma sembrava giusto, visto che me ne sono accorta, renderlo noto per correttezza. Sono le mie parole e non sono solo le mie, e sicuramente altr* le avranno scritte e le scriveranno. Le citazioni fatte con coscienza sono dichiarate, le altre rimarranno nascoste, per così dire.

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