Open your eyes, control your mind, kill your leaders.

La settimana d'inferno. Cinque giorni in cui si dedicano anima e corpo all'università, a progettazione, tanto che adesso faccio fatica anche a mettere due lettere in fila senza confonderle, tanto che la tua mente diventa assuefatta al lavoro, la tua anima si perde nella concentrazione, le tue dita prolungamenti dei tasti, la mano come un mouse, i cavi elettrici diventano delle vene, e anche lui riposa cinque ore a notte al massimo, e anche lui dopo un po' chiede pietà e pausa, ma ormai la sincronia perfetta tra uomo e macchina, idea e progetto, si fondono in un unico essere, che trae energia da se stesso, dalla parte che una volta era separata. Anni di studio, di sacrifici, di notti in bianco, paure, gioie e successi per poter sperare di passare anche questo esame, per poter dimostrare a te stesso che puoi farcela, che devi resistere, che puoi resistere. E in realtà hai già ceduto.

Un po' come Matrix, il sistema ti circonda, come una leggera nebbiolina, alla quale non fai più caso, alla quale sei abituato, e basta una scintilla per farti rivedere tutto offuscato e farti acuire la vista per vedere meglio. In un'aula, un professore, un padre di famiglia, un uomo ha guardato noi ragazzi, noi di Philadelphia, noi di Algeri, noi di Broadacre, ognuno uguale nella sua diversità e diverso nel modo di pensare, noi ad ascoltare quest'uomo, l'unico che abbia cercato ancora di capire come funzionavano le nostre menti, perchè i nostri progetti hanno una logica nella nostra testa, il modo in cui funzionano le nostre teste, con quella brutalità propria del colore su fondo bianco, su fondo nebbia. Oggi, quell'uomo ha parlato, ha sentenziato, entrando nelle nostre anime, svegliandoci dall'intorpidimento della quotidianità, di ciò che è normale, di ciò che da tutta la vita ci tra davanti, la consuetudine di ogni giorno. Dovete svegliarvi adesso, o sarà troppo tardi, sarete assorbiti da questo sistema. Impotenza e disperazione si sono accesi in me come una scintilla, come un desiderio represso di attenzione verso la nostra fascia di persone, verso noi studenti, verso noi universitari, noi, ragazzi di Philadelphia, di Algeri, di Broadacre. Noi che dobbiamo rinunciare a dare un esame per mancanza di tempo, noi che non riusciamo a dormire la notte perchè il nostro progetto è stampato sui nostri occhi, schermo di quella macchina chiamata uomo che tanto avrebbe bisogno di stare in carica, ogni tanto, e di avere una batteria di riserva, perchè le tante cose da fare ti assillano e ti comprimono, facendoti rinunciare ai tuoi sogni, limitandoti ad essere per l'università, a conformarti a questo sistema che è nato per noi, ma che ora ci sta uccidendo. E allora, noi dovremmo scriverla una lettera, una protesta per i nostri rappresentanti, per il rettore, per la Gelmini, e che so, pure per il Papa, perchè non siamo solo noi di Phila, Algeri e Wright as essere nella morsa brutale dell'università, ma un sacco di altri noi i cui sogni vanno di giorno in giorno in frantumi.




[n.d.a.: Questo breve sfogo, il primo del 2010, anno che si prospetta malvagio, è stato messo al mondo dopo il discorso affettuosamente fomentatore dell'architetto Mauro Frate, e soprattutto dell'uomo che lui è, perchè credo che sia entrato nelle teste di tutti coloro che lo hanno ascoltato, che in quell'aula, le espressioni impotenti erano molte, nella speranza che oltre ad essere entrato nelle teste vi sia anche rimasto, grazie di tutto il tempo che ci ha dedicato.]

Commenti

Post più popolari